IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza collegiale, letti gli atti ed
 esaminate la documentazione e le risultanze della causa n.  1139/1994
 r.g.  qui  pendente,  su  rinvio  della  Cassazione, tra l'appellante
 Anelli Sonia e la S.a.s. Immobiliare Tunisia Settala.
                           PREMESSO IN FATTO
    Il 1 agosto 1989, la allora signorina Anelli Sonia stipulo' con la
 S.a.s. "Immobiliare Tunisia Settala" un contratto di lavoro con patto
 di prova, e prese in pari data servizio di  portierato  con  alloggio
 nello stabile della societa in Milano, via Settala, 8.
    Con  missiva  18  settembre 1989, la datrice comunicava il recesso
 per esito negativo della  prova,  facendo  decorrere  il  termine  di
 cessazione  dal  30  seg.,  intimava  lo sfratto dall'alloggio, ed in
 prosieguo lo eseguiva coattivamente  coinvolgendo  il  bambino  Jessy
 avuto  (il  23  marzo  1990)  dalla  Anelli, con il convivente (e poi
 marito) Garau Giancarlo.  La  ridetta  otteneva  dal  1  aprile  1991
 dall'IACP  di  Milano un alloggio a canone agevolato, ed il 22 giugno
 1991 dava alla luce un altro figlio, Andrea.
    In   ragione   della   insorta   prima   gravidanza   la   Anelli,
 documentandola,  chiedeva  ai  sensi della legge 30 dicembre 1971, n.
 1204 il ripristino del rapporto di lavoro e, con ricorso 21  dicembre
 1989   al   pretore   di   Milano,  l'annullamento  del  recesso,  la
 reintegrazione nel  rapporto  a  la  condanna  dell'Immobiliare  alla
 corresponsione   di   tutte   le   retribuzioni  maturate  sino  alla
 definizione del giudizio.
    Resisteva l'Immobiliare, deducendo, sia la sconoscenza dello stato
 di gravidanza taciuto dall'interessata  e  da  lei  rilevato  nonche'
 fatto  certificare  il 18 dicembre 1989 - per inizio sei mesi prima -
 solo  in   sede   di   impugnativa,   sia   la   giustificatezza   ed
 ineccepibilita' del proprio operato.
    Assunta la teste Garioni Luigina quale informata, per attivita' di
 amministrazione   per   conto   dell'Immobiliare,   di  disservizi  e
 inefficienze della portiera, ma non anche  la  deposizione  di  Garau
 Giancarlo  e  di  alcuno  fra  "tutti  gli  inquilini  del condominio
 Settala" indicati dalla Anelli, il  9  luglio  1990  il  pretore  del
 lavoro  ne  respingeva la domanda, poi motivando la legittimita' e la
 comprovata fondatezza del recesso a seguito della prova.
    L'articolato appello della ridetta veniva respinto, ma la sentenza
 22 aprile 1993, n. 4746 cassava quella 8 maggio 1991 del tribunale di
 Milano, e rimetteva al tribunale di Varese, fissando il diritto che "
 .. la disposizione dell'art. 1 del d.P.R. n.  1026/1976  (recante  il
 regolamento di esecuzione della legge n. 1204/1971 sulla tutela delle
 lavoratrici  madri) secondo cui le norme che vietano il licenziamento
 di queste ultime non escludono il recesso per  esito  negativo  della
 prova,  e'  illegittima  e  pertanto  quale  atto  amministrativo  va
 disapplicata dal giudice ordinario ai sensi dell'art. 4  della  legge
 abolitiva del contenzioso amministrativo, stante il suo contrasto con
 le  finalita'  della tutela suddetta perseguite dalla legge della cui
 esecuzione si tratta ..".
    Qui riassunta la causa il  1  settembre  1993  dalla  Anelli  (tra
 l'altro, con insistenza nelle sue proposizioni testimoniali) in veste
 di  appellante alla sentenza depositata il 19 luglio 1990 dal pretore
 del  lavoro,  resiste  la  Immobiliare   denunziando   anzitutto   di
 illegittimita'  costituzionale l'art. 2 della legge 30 dicembre 1971,
 n. 1204, nella parte in cui, non annoverando - tra  altre  esclusioni
 dall'ambito  di operativita' del divieto temporale di licenziamento -
 le lavoratrici assunte in prova,  e  cosi'  vanificando  quanto  alle
 lavoratrici  "madri"  la  stessa  esercitabilita' del recesso pur nel
 congrui  casi,  finirebbe  per  realizzare  la  stabilizzazione   del
 rapporto  a prescindere dalla pattuita verificabilita' delle qualita'
 tecniche della prestazione, e per  privare  il  datore  (anche,  come
 vuolsi,  gia'  ignaro  della  gravidanza)  dell'esercizio di quel suo
 diritto, munito d'altronde  anch'esso  di  referenti  costituzionali,
 indicati negli artt. 41 e 42.
    Replica  la  (difesa  della) lavoratrice che mentre la specifica e
 speciale, tutela in argomento, oltreche' agli artt. 39, 31 e 37 della
 Costituzione si allinea ed adegua anche  ai  modelli  internazionali,
 d'altronde  "  ..  il  datore  di lavoro ha sempre la possibilita' di
 risolvere il rapporto nei tassativi casi che la 1204/1971  indica,  e
 che sono ampiamente sufficienti a tutelare l'iniziativa privata ..".
                          OSSERVA IN DIRITTO
    In  particolare,  ed  approfonditamente, nella memoria ritualmente
 depositata il  27  dicembre  1994,  la  (difesa  della)  "Immobiliare
 Tunisia   Settala"  muove  dalla  considerazione  del  rilievo  anche
 costituzionale del principio di  autonomia  e  liberta'  contrattuale
 (nei  congrui  casi), con agganci alla liberta' di iniziativa privata
 che invero pure controparte riporta, per poi annotare e rimarcare  le
 peculiarita' che, rispetto al patto di prova nel contratto di lavoro,
 dovrebbero  comportare  l'illegittimita'  della  legge 1971, n. 1204,
 nella parte in cui, violando anzitutto il  principio  di  uguaglianza
 sancito  dall'art.  3  della  Costituzione, non l'annovera tra i casi
 ibidem  di  esclusione  quanto  alle  lavoratrici  "madri"  (e   piu'
 esattamente, come nel caso di specie, in gravidanza).
    Osserva  il  tribunale  anzitutto  che, a disattendere l'obiezione
 della  Anelli  secondo  cui  sarebbe  adeguata  ed  esaustiva   degli
 interessi  del datore di lavoro la possibilita' di risolvere comunque
 il rapporto "nei tassativi casi che la legge n. 1204/1971 indica"  e,
 cioe', ex art. 2, terzo comma, lett. a), giusta causa per colpa grave
 della  lavoratrice (chiaramente essendo inconferenti alla fattispecie
 le ipotesi ivi sub b), di "cessazione dell'attivita' dell'azienda", e
 sub c), di "ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice
 e'  stata  assunta,  o  di  risoluzione del rapporto di lavoro per la
 scadenza  del  termine"),  basta  notare  che  quella  casistica  non
 riguarda specificatamente e non attiene minimamente alla verifica, da
 parte  del datore, delle attitudini e capacita' della prestatrice pur
 legittimamente assunta con patto di prova che non puo'  esser  tenuto
 tamquam non esset.
    Vale  d'altronde  riportare,  che  Corte costituzionale 8 febbraio
 1991, n.  61  qualificando  nullo,  e  non  soltanto  inefficace,  il
 licenziamento  della  lavoratrice durante la gravidanza e nel periodo
 di rispetto, non ha  pero'  mancato  di  avvertire  testualmente  che
 mentre  "  ..  terminato  il  periodo  previsto dall'art. 2 il datore
 riacquista comunque il potere di recedere dal  rapporto  nei  casi  e
 alle condizioni previste dalla legge, pero' una volta che il rapporto
 di  lavoro  e'  rientrato  nei  binari  della normalita', e' ben piu'
 difficile che si verifichi l'ipotesi di un licenziamento  determinato
 dagli inconvenienti che le misure di garanzia previste dalla legge n.
 1204  hanno  comportato  per  il  datore  di lavoro in una fase ormai
 pregressa".
    Insomma, mentre il recesso in attuazione di patto di prova, ed  il
 licenziamento   per   giusta   causa,   chiaramente  corrispondono  a
 situazioni ed esigenze  affatto  diverse,  ed  il  tratto  comune  e'
 costituito dalla perentoria tempestivita' per il datore di lavoro nel
 farle valere, peraltro senza possibilita' di interscambio, (cfr., tra
 tante, Cass. 27 gennaio 1978, n. 400), un primo quanto importante e -
 si  ritiene  -  decisivo  aspetto  di  ingiustificata  diversita' del
 trattamento normativo in esame consiste nel  fatto  che  esso  datore
 rimanga  suo  malgrado spogliato del diritto di prova e, se del caso,
 di recesso ad esito della stessa.
    Come, per l'appunto,  nella  fattispecie  concernente  la  signora
 Anelli  (rispetto  alla  quale  evidentemente non rileva, allo stato,
 approfondire le ragioni e motivazioni del recesso dell'Immobiliare).
    Sono note,  e  la  difesa  della  Societa'  le  ha  diligentemente
 menzionate,  le contrapposizioni sistematiche elaborate da importanti
 Autori e dalla giurisprudenza,  a  proposito  dell'inquadramento  del
 patto di prova nella condizione (sospensiva o risolutiva), oppure nel
 termine.
    Quel  che  ancora  preme  rimarcare  e'  che,  istituzionalmente e
 comunque,  la  eventuale  stabilizzazione  del  rapporto  di   lavoro
 legittimamente  prevista e pattuita tra gli "accidentalia negotii" in
 relazione e per effetto della verifica delle  qualita'  tecniche  del
 lavoratore,  non  differisce  a  tal punto morfologicamente da quella
 "scadenza del termine" che - all'art. 2, terzo comma, lett. C) cit. -
 si e' poc'anzi riportata tra i  casi  di  legittima  risoluzione  del
 rapporto (anche) per le lavoratrici madri.
    Trattasi   di   un  altro  importante  aspetto  di  ingiustificata
 diversita' di trattamento normativo.
    Muovendo dall'alveo della considerazione costituzionale (artt.  41
 e  42,  citt.)  per  la  libera  iniziativa economica privata, che va
 coordinata con le pure gia' menzionate quarentigie della  maternita',
 della  famiglia  e  dei  rapporti  sociali  in  genere, si impone ora
 un'ulteriore constatazione di probabile deteriore considerazione  del
 patto  di prova in contratto di portierato (e di custodia immobiliare
 in genere) rispetto al contratto di lavoro domestico.
    Ed  invero,  mentre  entrambi  i  contratti di lavoro rivelano uno
 spiccato intuitus personae e, nei congrui casi, presentano l'inerenza
 della  fruizione  di   alloggio,   la   cui   protratta   occupazione
 risulterebbe   ovviamente   preclusiva  dell'instaurazione  di  altro
 analogo   e   sostitutivo   rapporto,   e    costituirebbe    inoltre
 un'imbarazzante   compresenza  nell'ambito  immobiliare  del  datore,
 l'art.  1,  terzo  comma,  legge  citata   esclude   specificatamente
 l'applicabilita',  tra  le  altre norme, dell'art. 2 alle lavoratrici
 addette ai servizi domestici e familiari,  come  ancora  recentemente
 Corte  costituzionale  15  marzo  1994,  n. 86 ha ribadito, nel senso
 della legittimita' di quell'esclusione.
    Dopo il profilo di una  sperequata  vanificabilita',  in  subiecta
 materia,  del  principio  di  liberta'  e  di autonomia negoziale del
 datore  di  lavoro,   e   quello   dell'ingiustificamente   diseguale
 trattamento  in generale rispetto alla lavoratrice assunta a termine,
 e  comunque  piu'  specificamente  anche  rispetto  alla  "colf",  un
 ulteriore  elemento  di  contrasto con l'art. 3 della Costituzione e'
 stato puntualmente denunciato dall'Immobiliare, e qui per completezza
 si riporta (tra altri aspetti secondari, su  cui  a  tal  punto  pare
 superfluo  immorare), nella diseguale protezione della lavoratrice in
 gravidanza (e fino al termine di interdizione  dal  lavoro,  previsto
 dall'art. 4 della piu' volte citata legge, nonche' fino al compimento
 di   un  anno  di  eta'  del  bambino)  a  confronto  dei  lavoratori
 beneficiari di assunzioni obbligatorie, per i quali il patto di prova
 non conosce vanificazioni.
   Procurando di non incorrere nell'obiezione che, per comune  portato
 esegetico, l'applicazione del principio costituzionale di eguaglianza
 opera direttamente in senso eventualmente acclusivo della quarentigia
 oggetto di discriminazione e non anche reversivo e riduttivo rispetto
 ai  privilegiati, il senso delle qui svolte considerazioni a sostegno
 della  non  manifesta  infondatezza  -  e,  anzi,   della   probabile
 fondatezza - della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 2  e,  amplius,  della  legge  n.  1204/1971,  nella parte in cui non
 esclude l'applicazione della stessa al rapporto di lavoro  con  patto
 di  prova  in corso di svolgimento, e quantomeno nelle sue accessioni
 al  contratto  di  portineria  (e/o  di  custodia,  con  diritto   di
 alloggio),   questo   proponente   tribunale   ribadisce   che   quei
 parallelismi e confronti sono stati recepiti e sviluppati a  riprova,
 occorrendo,  che  nell'Ordinamento  non  si  rinviene  un'assoluta  e
 incondizionata  priorita'  della  tutela  dei  valori  vantati  dalla
 lavoratrice  a  detrimento e sacrificio del diritto e degli interessi
 del datore; che, infatti, la stessa  legge  del  1971  gia'  annovera
 plurimi,  e  per  piu'  versi  assimilabili  e significativi, casi di
 incontroversa esclusione della propria applicabilita';  e  che  tutto
 cio'  organicamente  si  iscrive  in  categorie  logiche  di  valenza
 sistematica meritevoli di attenta considerazione.
    Per le appositamente ampie premesse della narrativa, la  rilevanza
 in  concreto  della questione di legittimita' costituzionale pare non
 esigere approfondimenti.
    Poiche' i profili di ritenuta  non  manifesta  infondatezza  della
 questione,  muovendo  dagli  artt.  1 e 2 rivestono, sotto il profilo
 omissivo,  l'intera  legge  1971  citata,  la  denunziata  situazione
 s'intende relativa al suo complesso.